La cosiddetta shrinkflation viene ormai adottata, purtroppo, da un crescente numero di aziende, sia in Italia che in altri Paesi. Molte società, sia nel settore alimentare che in altri ambiti scelgono deliberatamente di diminuire leggermente la quantità di prodotto presente all’interno delle confezioni, mantenendone tuttavia invariato il costo. Il consumatore quindi potrebbe trovarsi ad acquistare, suo malgrado, confezioni in cui siano presenti 400 grammi di pasta invece che mezzo chilo, 130 grammi di prosciutto invece che 150, 75 ml di dentifricio e non 100 e così via. Attraverso questa strategia le aziende tentano sostanzialmente di ridurre l’impatto degli aumenti dei costi di produzione o dei prezzi delle materie prime evitando rincari a carico del consumatore finale, che tuttavia non viene adeguatamente informato in merito.
Il primo problema che si pone, quindi, è quello della trasparenza delle informazioni a cui il cliente ha diritto per compiere scelte di acquisto consapevoli e il fenomeno ha assunto dimensioni tali da indurre l’Autorità Antitrust a monitorare la situazione: l’AGCM sta quindi verificando se la shrinkflation possa costituire una pratica commerciale scorretta ai sensi del Codice del Consumo proprio a causa della mancata informazione al cliente finale.
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