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È stato presentato come “un piano ambizioso che guarda al futuro”, ma leggendo i contenuti del Decreto-legge che introduce misure urgenti per la riforma scolastica si scorge davvero poco futuro, bensì si intravedono chiari e anacronistici ritorni al passato.

Al fianco dei (pochi) aspetti positivi, quali lo sviluppo delle competenze digitali, la maggiore formazione del personale docente anche per una maggiore inclusività in classe, l’inserimento di sportelli psicologici e lo sviluppo della didattica esperienziale (anche se con un approccio eccessivamente pratico secondo le prime notizie), vi sono numerose scelte dubbie, riconducibili a chiari intenti ideologici più che ad approcci pedagogico-educativi.

La conoscenza della Bibbia, che la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti ha motivato quale “testo della nostra tradizione, anche per aver ispirato numerose opere di letteratura, musica, pittura e influenzando il patrimonio culturale di molte civiltà” appare, nei fatti, una scelta arbitraria (dal momento che tali riferimenti sono già illustrati nei rispettivi programmi delle singole discipline), di chiaro stampo nostalgico e conservatore che peraltro non tiene in alcuna considerazione testi di riferimento di altre religioni altrettanto rilevanti nel quadro della storia dell’umanità.

Del resto, lo stesso Ministro Valditara dichiara di voler restituire “centralità alla narrazione di quel che è accaduto nella nostra penisola dai tempi antichi fino ad oggi”, abolendo in nome di ciò la “geo-storia” nelle scuole superiori per dare spazio a quella che non ci sorprenderebbe se venisse definita la “storia italica”.

Scelte che incarnano in pieno uno spirito reazionario, irreale e controproducente per studenti che si troveranno a vivere e lavorare in un contesto sempre più integrato a livello globale.

In un Paese in cui, secondo una ricerca OCSE, oltre il 35% di cittadini adulti ha difficoltà a capire testi complessi siamo convinti che la priorità non possa essere quella della riscoperta dei testi biblici o della storia nazionale. Al contrario, servono investimenti per implementare le attività educative, modernizzare le strutture scolastiche e ridurre il numero di alunni per classe, stabilizzare le posizioni degli insegnanti precari e alzare lo stipendio del corpo docente (tra i più bassi d’Europa), invertire la politica di accorpamento, dimensionamento e tagli. Operazioni che richiedono impegno e risorse sicuramente maggiori rispetto a quelle necessarie alla definizione di programmi meramente ideologici e dannosi per gli studenti.

Scuola: piuttosto che investire sul futuro degli studenti il Governo preferisce rispolverare programmi scolastici anacronistici e dannosi. Le ideologie restino fuori dalle aule.

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