Torna tristemente agli onori della cronaca lo stato di precarietà dei reparti di Pronto Soccorso, con pazienti sistemati a terra per lunghissime ore in attesa di cure: è questa la fotografia di un’emergenza sanitaria che riguarda tutto il Paese.
Non si contano più i disagi che i pazienti sono costretti a subire per mancanza di posti letto, per i lunghi tempi di attesa per accedere a visite ed esami, per la difficoltà di scegliere il proprio medico di famiglia e per le criticità di una rete dell’emergenza depotenziata, con molti mezzi di soccorso demedicalizzati, spesso insicuri e scarsamente equipaggiati di personale e attrezzature e che trova nei Pronto Soccorso ospedalieri un imbuto sanitario con pazienti sofferenti costretti a lunghissime attese prima di ricevere le necessarie risposte.
Non sono meno i casi di pazienti mandati via dai Pronto Soccorso dopo prime risposte dettate evidentemente dallo stato emergenziale in cui costretti ad operare ma che di fatto, in taluni casi, pregiudicano la vita dei pazienti. E poi, da Nord a Sud, è un susseguirsi di segnalazioni di strumentazione sanitaria vetusta che nutre il business della sanità a pagamento per quanti nella condizione di comprarla.
Anni di spending review, di tagli al Fondo sanitario, di blocco delle assunzioni e di una visione sciaguratamente miope del fabbisogno formativo sanitario, hanno stremato l’offerta pubblica dei servizi al punto da impoverirli e renderli un calvario per molti pazienti bisognosi di cure e prevenzione.
Oggi, a pagare il prezzo delle criticità sanitarie accumulatesi negli anni è tutto il Paese ma principalmente le Regioni sottoposte a Piano di rientro dove i cittadini, nonostante il carico di una maggiore imposizione fiscale e della compartecipazione (ticket) ai costi del risanamento dei debiti, impattano con una sanità pubblica impoverita dai tagli, stremata dalla pandemia e da modelli organizzativi e gestionali spesso inadeguati che producono disservizi e l’incapacità di utilizzo delle pur ridotte risorse.
Una condizione gravissima che pregiudica il diritto di cura dei cittadini e che non può essere affrontata con interventi ordinari o nell’attesa degli investimenti derivanti dal PNRR: Governo e Regioni devono approntare ora risposte emergenziali a problemi emergenziali che non sono certamente date dai medici a gettone, dalla privatizzazione di pezzi della sanità pubblica o dalle assicurazioni sanitarie a carico dei cittadini.
I bilanci delle famiglie già logorati dal carovita e dal caro bolletta non possono sopportare anche il costo degli oltre 37 miliardi di euro di spesa sanitaria privata già aumentata nel 2021 del 6% sul 2019 e che si prevede in ulteriore aumento.
Se non si risponde con un piano straordinario nazionale pubblico di assunzione del personale sanitario, con lo sbocco dei concorsi, con l’ottimizzazione dell’impiego del personale in carico anche prevedendo il blocco delle prestazioni in intra ed extra moenia per favorire l’abbattimento dei tempi di attesa, con vincoli per le strutture private accreditate in convenzione che optano per l’erogazione di prestazioni in regime di pagamento, risulta impossibile pensare nell’immediato a come si smaltiscano le prestazioni differite durante la pandemia che ammontano a decine di migliaia di visite e prestazioni specialistiche che mettono a rischio la salute di tanti cittadini impossibilitati a cure a pagamento.
Curare gli italiani e i loro fabbisogni di salute significa, oggi, curare i mali della sanità e Federconsumatori è decisamente schierata per difendere la natura pubblica e universale del Servizio Sanitario Nazionale anche dalle sciagurate prerogative di un ulteriore indebolimento autonomistico.