I dati relativi alla situazione del Mezzogiorno appaiono sconfortanti, specialmente oggi, per un Paese europeo che ha l’opportunità di investire risorse comunitarie per lo sviluppo delle aree più svantaggiate.
I dati sulla disoccupazione giovanile, sulle opere incompiute, sulla qualità della vita, sull’inefficienza del servizio sanitario, della gestione dei rifiuti, del trasporto pubblico locale, restituiscono un quadro disarmante, che prima di tutto dimostra l’assoluto fallimento delle logiche di carattere assistenzialistico adottate finora. Non ultimo il reddito di cittadinanza, che si sta dimostrando un’arma spuntata per contrastare la disoccupazione e promuovere lo sviluppo.
Se è vero che si è ridotta la spesa pubblica per investimenti al Sud e i trasferimenti alle regioni, è altrettanto vero, come è stato drammaticamente sottolineato da Svimez, che al 31 luglio 2018, delle risorse destinate ai Programmi operativi regionali sui fondi strutturali 2014-2020, al massimo il 9,44% è stato speso in Puglia. In Sicilia appena lo 0,73%.
E mentre in Portogallo, Polonia, Bulgaria e Slovenia tali fondi vengono impiegati per realizzare infrastrutture, da noi in molti casi vengono utilizzati per festival e iniziative, spesso di carattere enogastronomico.
Tutto ciò mette in luce una grave disattenzione e mancanza di visione da parte delle amministrazioni a tutti i livelli, a partire da quello nazionale, che dopo aver creato l’Agenzia per la coesione, che avrebbe dovuto coordinare e sovrintendere ai lavori delle regioni, non ha conferito a tale organo reali poteri, relegandolo ad un ruolo marginare. Per sfruttare pienamente i fondi e le risorse disponibili per il rilancio del Mezzogiorno è necessario ripartire dalla condivisione delle conoscenze, delle competenze e delle esperienze, per avviare piani di sviluppo e crescita, che puntino su occupazione e valorizzazione dell’inestimabile patrimonio che quest’area d’Italia possiede.
In quest’ottica l’Europa è una opportunità preziosa, per molti versi l’unica possibile per garantire un futuro alle economie dei singoli paesi in un contesto internazionale sempre più complesso. Per questo bisogna guardare all’Unione con fiducia, sgombrando la mente da preconcetti figli della propaganda populista.