Non esitiamo a definire sconvolgenti i dati che emergono dall’indagine “Mai Dati” presentata alla Camera dei Deputati, da cui emerge che la legge 194 è ancora scarsamente applicata o del tutto ignorata in molte aree del Paese. In decine di strutture sanitarie l’obiezione di coscienza raggiunge addirittura il 100% e in altre 130 il tasso oscilla tra l’80% e il 90%.
Il problema dell’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza è annoso e radicato nel nostro Paese: come Federconsumatori denunciamo da tempo una situazione che, di fatto, lede il fondamentale diritto della donna a scegliere della propria vita e della propria salute.
L’elevatissimo ricorso all’obiezione di coscienza da parte di medici, anestesisti, infermieri e OSS si ripercuote in primis sui tempi di attesa per l’IVG che, dilatandosi, costringono molte donne a spostarsi dal luogo di residenza per raggiungere strutture con più ampie disponibilità o a rivolgersi a centri privati per riuscire a rispettare il limite dei 90 giorni imposto dalla normativa per lo svolgimento dell’intervento. Si tratta di soluzioni scomode e soprattutto costose, che rendono ancor più evidenti e discriminatorie le già notevoli disparità esistenti nell’accesso all’assistenza sanitaria. Il diritto di applicazione dell’obiezione di coscienza deve essere contemperato con la garanzia di erogazione della prestazione in ciascuna struttura, tutelando pienamente i diritti delle donne e assicurando l’accesso all’assistenza sanitaria senza disparità economiche o territoriali.
In molte circostanze, inoltre, al disagio per le pazienti si aggiungono le possibili ripercussioni per il personale che invece si renda disponibile a svolgere gli interventi e a prestare la necessaria assistenza. La questione è stata anche affrontata in sede europea: nel 2016 il Consiglio UE ha accertato come in Italia la scelta di non ricorrere all’obiezione di coscienza sia fortemente penalizzante dal punto di vista professionale per il personale medico-sanitario. Molti medici e operatori, quindi, ricorrono all’obiezione non tanto per un reale problema etico e, appunto, di coscienza, quanto per tutelare la propria posizione professionale. Non ci stanchiamo di ribadirlo: non è accettabile che un diritto fondamentale come quello alla salute e all’accesso alle cure venga ostacolato o leso in base a decisioni discrezionali, soprattutto se queste stesse scelte risultano pesantemente condizionate dal timore subire svantaggi lavorativi.
La legge stabilisce che l’accesso alla prestazione debba essere libero e gratuito: lo Stato, pertanto, ha il dovere di garantirlo, sanando una situazione da troppo tempo ignorata e organizzando l’attività ospedaliera in modo che l’interruzione volontaria di gravidanza non sia più un diritto negato.
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