“I grandi processi di n’drangheta sono a rischio per l’emergenza covid.” L’allarme lanciato dalla Procura di Torino è a dir poco inquietante.
Da quanto si apprende tale rischio è paventato a causa di un mero problema organizzativo: vale a dire l’impossibilità di allestire collegamenti in videoconferenza per gli imputati detenuti positivi al covid ma asintomatici.
Tale situazione determina gravi (e a nostro avviso intollerabili) ritardi, rinvii delle udienze, allungamenti dei tempi dei processi, che spesso comportano rischi di decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Questa segnalazione scaturisce dalla vicenda relativa al maxi-processo Fenice-Carminius in occasione del quale uno degli imputati, detenuto alle Vallette di Torino, è risultato positivo al covid. Questi, asintomatico, non ha rinunciato a partecipare all’udienza da remoto: a causa però delle difficoltà organizzative nel disporre il collegamento si è dovuto rinviare il processo al 16 dicembre. A quanto apprendiamo dalla stampa, sembrerebbe che per le carceri non sia stato previsto un protocollo che permetta di affrontare situazioni simili. Il rinvio in questo caso comporta una sospensione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ma non è detto sia sempre così, tale misura verrà infatti decisa caso per caso.
È una vera assurdità che, per un banale problema di carattere organizzativo, si rischia di mettere a repentaglio l’efficacia del sistema giudiziario nel nostro Paese.
Siamo di fronte ad una grave anomalia e ad una “svista” clamorosa consistente nella mancata predisposizione di un apposito protocollo per affrontare questi casi.
Non ci spieghiamo come sia possibile che una banale mancanza di organizzazione e l’arretratezza tecnologica possano compromettere lo svolgimento di processi così importanti e delicati.
Chiediamo che si ponga al più presto rimedio a tale situazione, disponendo tutte le soluzioni opportune per garantire lo svolgimento dei processi.
Il sistema giudiziario, già fortemente rallentato dalla pandemia in corso, non può e non deve fermarsi di fronte all’emergenza sanitaria, soprattutto in casi così rilevanti come i processi contro le organizzazioni di stampo mafioso.