L’AGCM ha reso noto oggi l’avvio di un’istruttoria nei confronti di alcune società del Gruppo Armani e del Gruppo Dior per probabili condotte scorrette e illecite nella promozione e nella commercializzazione di articoli e accessori di abbigliamento. Le società avrebbero violato il Codice del Consumo e non solo: avrebbero, infatti, presentato dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere. Secondo l’Autorità, infatti, avrebbero utilizzato in alcuni casi forniture provenienti da laboratori che impiegano lavoratori in condizioni di sfruttamento, assenza di sicurezza e condizioni sanitarie adeguate, oltre che sottopagati.
Una vicenda inaccettabile, specialmente se si pensa all’evidente contrasto tra i prezzi a cui vengono venduti i prodotti di quei marchi, che spesso superano diverse migliaia di euro e le condizioni di lavoro a cui sono costretti gli operai dei fornitori a cui queste rinomate aziende si rivolgono.
Da marchi tanto eccellenti (parliamo di Giorgio Armani S.p.A., G.A. Operations S.p.A., Christian Dior Couture S.A., Christian Dior Italia S.r.l. e Manufactures Dior S.r.l.), che rappresentano il vanto delle produzioni made in Italy in tutto il mondo, ci aspetteremmo ben altre condotte.
Che si tratti di green washing o di negligenza nel verificare attentamente le credenziali e l’operato delle società fornitrici a cui si rivolgono, poco cambia. Questa vicenda ripropone, ancora una volta, il tema sempre più centrale dell’etichettatura sociale delle produzioni. Un’esigenza che non si circoscrive al campo alimentare, ma che abbraccia molti settori, in cui i consumatori vogliono essere certi di acquistare senza macchiarsi la coscienza, rendendosi fruitori finali di atti di sfruttamento, schiavitù o danni all’ambiente.
Le aziende non possono più limitarsi, quindi, a raccogliere dichiarazioni e documenti che attestino la conformità dei sistemi produttivi, addirittura a volte l’eccellenza in termini di sostenibilità etica e ambientale, senza verificare cosa accade veramente dietro alle porte delle fabbriche da cui si riforniscono. Deve essere previsto un sistema di controllo che abbracci ogni passaggio della filiera.
Ci faremo promotori, presso il Mimit e Masaf, dell’avvio dei tavoli di discussione per predisporre al più presto una adeguata forma di etichettatura sociale: un passo fondamentale e necessario per conferire un valore aggiunto al made in Italy e alle produzioni italiane di qualità.