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Ricondurre ad una semplice violazione della privacy quanto accaduto al cimitero Flaminio di Roma appare del tutto riduttivo e banalizzante.

Centinaia di feti di donne che hanno abortito sono stati seppelliti con delle croci bianche, sulle quali è indicato il nome delle madri che hanno interrotto la gravidanza.

La sepoltura è una possibilità regolata dal D.P.R. n.285/1990, che stabilisce come “A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane” e comunque specifica che “[…] i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione o dall’estrazione del feto, domanda di seppellimento all’Unità Sanitaria Locale”.

Una scelta su base del tutto volontaria, quindi, che in questo caso è stata assunta arbitrariamente da qualcuno che non ne aveva diritto, in spregio alla privacy, alla sensibilità e alla dignità delle donne coinvolte.

L'ospedale San Camillo, dove è stata effettuata l'interruzione di gravidanza della donna che ha denunciato il fatto ha dato la colpa di un'eventuale violazione della privacy all'Ama, la municipalizzata che a Roma si occupa dei cimiteri. L'Ama, rigettando ogni addebito, spiega che tutto avviene su input degli ospedali e delle Asl. Per giustificare, invece, il nome affisso sulla croce sostiene che "l’epigrafe in assenza di un nome assegnato, deve riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura da parte di chi la cerca".

Il Garante della Privacy è intervenuto avviando un’istruttoria per accertare le violazioni, è stata inoltre presentata un’interrogazione parlamentare sulla vicenda, ma a nostro avviso è necessario che venga aperto un procedimento per accertare le responsabilità dell’accaduto.

Troviamo intollerabile la violazione di un fatto così intimo e riservato come l’aborto.  

Invitiamo le donne coinvolte a sporgere denuncia, per far sì che questa pratica illegittima, macabra e irrispettosa, non si ripeta in futuro.

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