Giunge oggi la notizia dei primi rincari sul costo della benzina per l’effetto Arabia.
Una motivazione del tutto strumentale, dal momento che se è vero che all’indomani dell’attacco agli stabilimenti petroliferi in Arabia Saudita i prezzi internazionali del petrolio sono aumentati quasi fino al 20 per cento, facendo segnare al Brent quota 71,95 dollari (con un aumento del +19,5%), mentre il prezzo del West Texas Intermediate ha raggiunto i 63,64 dollari al barile (con un aumento del +15,5%).
La turbolenza, però, è durata poco, dal momento che il WTI è sceso già a 59,60 Dollari al barile e il Brent a 64,30 Dollari al barile, grazie dal ricorso alle riserve da parte degli Stati Uniti e alla garanzia da parte dell’Arabia che l’operatività degli stabilimenti sarebbe stata presto ripristinata al 60%.
I ritocchi applicati dalle compagnie, di +2-3 centesimi al litro appaiono, in tale ottica, del tutto ingiustificati. A maggior ragione considerando la vecchia abitudine cara alle compagnie petrolifere, abituate a ritoccare i prezzi al rialzo non appena le quotazioni accennano ad un aumento, senza far marcia indietro quando tornano a scendere.
Se i prezzi non dovessero adeguarsi al ribasso, nel corso di un anno, gli automobilisti si troverebbero a far fronte ad un aumento di circa 30 Euro solo a causa di tali turbolenze sul mercato petrolifero.
Invitiamo il Governo a sterilizzare gli aumenti. È necessario ed urgente intervenire su una questione “molto cara” agli italiani, in tutti i sensi: il primo passo in direzione di un calmieramento dei prezzi è quello di introdurre il meccanismo dell’accisa mobile, ovvero una sterilizzazione automatica dell’accisa in relazione all’andamento dei costi della materia prima. In questo modo, quando il costo del petrolio aumenta, l’accisa dovrebbe scendere per contenere i rincari per i cittadini. Non dimentichiamo, infatti, che l’accisa sui carburanti incide notevolmente sul loro prezzo finale, per circa il 46% nel caso della benzina (ben 72,8 centesimi al litro!).