La lodevole inchiesta della Procura di Firenze, che ha fatto scattare stamane gli arresti di Ercole Incalza (storico dirigente del ministero dei Lavori pubblici), gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, e Sandro Pacella (collaboratore di Incalza),sulla gestione illecita degli appalti delle cosiddette Grandi Opere, con una cinquantina di indagati (compresi alcuni politici), ai quali vengono contestati i reati di corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti ed altri delitti contro la Pubblica amministrazione, ha scoperchiato ancora una volta –dopo la cricca ed il sistema corruttivo del G8- un collaudato sistema di tangenti che avrebbe coinvolto tutte le principali Grandi opere.
La Procura di Firenze sta scandagliando in particolare gli appalti relativi alla Tav, alcuni riguardanti l’Expo, le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altri Grandi Opere, compresi alcuni relativi all’Expo, oggetto dell’”articolato sistema corruttivo che coinvolgeva dirigenti pubblici, società aggiudicatarie degli appalti ed imprese esecutrici dei lavori”.
Stimare i costi diretti e indotti del sistema delle tangenti, a 23 anni da Mani Pulite, è difficile, ma secondo la campagna ‘Riparte il futuro’, promossa da Libera di Don Ciotti, dal 2001 al 2011 la corruzione ci ha fatto perdere ogni anno 10 miliardi di pil, 170 euro di reddito pro capite, il 6% in termini di produttività, con un impatto diretto sulle casse dello Stato, ed indiretto sui cittadini, dovuto al “differenziale tra il prezzo finale di opere pubbliche e forniture e il loro valore di mercato, generato dalla corruzione”: “se colpisci frontalmente la corruzione e il malaffare, colpisci anche l’evasione fiscale”, ha affermato Nouriel Roubini, evocando i mancati provvedimenti contro “corruzione, crimine organizzato, peso della burocrazia, giustizia”.
Alcuni di tali mancati provvedimenti, sembrano bloccati -come ammesso candidamente il ministro della Giustizia Orlando in Senato- proprio da Confindustria, che oltre a chiedere che il governo rimettesse le soglie di non punibilità (entro il 5% dell’utile o l’1% del patrimonio netto) per i quali il falso in bilancio non è punibile penalmente, ha imputato, per bocca del presidente Giorgio Squinzi, la riforma restrittiva del falso in bilancio, tra gli spauracchi degli investitori stranieri: “Per quale motivo non si distingue tra errore e dolo, vogliamo dare ai magistrati la licenza di uccidere le imprese?”.
La legge anticorruzione del Presidente Grasso è ferma al Senato da 730 giorni, in compenso è stata approvata a passo di carica, la nuova responsabilità civile dei magistrati, per gettare i Pm nelle grinfie di banchieri e potentati economici, che con le minacce di liti temerarie possono scoraggiare sul nascere le inchieste giudiziarie; mentre la riforma della prescrizione – l’attuale ex Cirielli- rischia di sanare oltre 100.000 processi contro i colletti bianchi, che si sono macchiati di reati gravissimi a danno dei cittadini.
Poiché non è la legge sul falso in bilancio, né una normativa seria sulla class action, formidabile deterrente ai comportamenti scorretti, a volte criminali delle imprese, e neppure il DDL Grasso sull’anticorruzione osteggiati da Confindustria, a scoraggiare gli investimenti esteri in Italia, ma la distorsione della concorrenza a favore dei ‘furbetti’ e dei corrotti, le inefficienze che il sistema delle tangenti produce sull’economia, il collaudato sistema delle cricche (e ci piacerebbe sapere perché, ancora una volta, debba essere la Procura di Firenze che ha il plauso incondizionato dei consumatori, non quella di Roma, a scoperchiare il diffuso sistema corruttivo negli appalti), Adusbef e Federconsumatori auspicano un ravvedimento operoso dei tanti farisei presieduti dal dr. Squinzi.