I dati sulla disoccupazione diffusi oggi dall'Istat rivelano una situazione ancora estremamente allarmante.
Non è certo una variazione dello 0,1% in meno che può farci tirare un sospiro di sollievo.
"È ora di rendersi conto che le politiche attuate finora sono state del tutto insufficienti e che, per risollevare un mercato del lavoro in profonda crisi, c'è bisogno di ben altro." – dichiarano Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, Presidenti di Federconsumatori e Adusbef.
Soprattutto se spostiamo lo sguardo dal tasso generale a quello relativo alla disoccupazione giovanile, che si attesta al 36,9% o, ancora peggio, al tasso di disoccupazione giovanile al Sud, che tocca picchi del 60%.
Le famiglie sono l'unica forma di welfare che fa fronte a questa situazione: nonni e genitori sostengono nipoti e parenti disoccupati con una spesa di circa 450 Euro al mese. Questo fenomeno riduce, in termini generali, la domanda interna e contribuisce ad alimentare, in tal modo, la spirale negativa che in nostro Paese fatica a lasciarsi alle spalle. Basti pensare alla contrazione della spesa delle famiglie del -10,4% pari a circa 78 miliardi di Euro nel triennio 2012-2013-2014.
La mancanza di lavoro non incide solo in termini economici sull'andamento della domanda interna e dell'intero sistema produttivo, quel che è peggio è che sta privando di speranze e di prospettive le famiglie. Questa forma di depressione ha un effetto ulteriormente negativo sull'economia, amplificando crisi e rinunce.
Per questo è urgente intervenire con una riforma strutturale che sia veramente in grado di creare nuovi posti di lavoro ed avviare una redistribuzione dei redditi.
Il primo passo in questo senso, come sosteniamo da tempo, è l'attuazione di un Piano Straordinario per il Lavoro attraverso lo stanziamento di risorse destinate alla ripresa degli investimenti per la ricerca e lo sviluppo; all'avvio di opere di realizzazione e modernizzazione delle infrastrutture; alla programmazione di interventi tesi a valorizzare e qualificare l'offerta turistica nel nostro Paese.
In assenza di investimenti privati è lo Stato che deve farsi carico di tale operazione, se necessario ricorrendo anche alla vendita di parte delle riserve auree (circa il 15%).